L’ORDINE AGOSTINIANO E IL
PROBLEMA DEL SUO FONDATORE
di P. Mario Mattei
Esattamente 750 anni fa, nel 1256, il Papa
Alessandro IV mise insieme alcune congregazioni di eremiti per formare un nuovo
grande Ordine come quello dei Francescani e dei Domenicani: l’Ordine agostiniano.
Ma se i Francescani e i Domenicani potevano vantare un fondatore concreto e
preciso, per gli Agostiniani c’era un riferimento solo ideale a colui che aveva
scritto la regola 800 anni prima, ma non una paternità vera e propria. Anche le
congregazioni, che erano state riunite in un unico nuovo Ordine, non avevano
una paternità precisa, ma erano sorte, eccetto quella dei Giamboniti, in modo
anonimo o collettivo. Anche se a noi questo potrebbe sembrare un problema da
poco, tuttavia per i frati di quel tempo era assolutamente necessario potersi
specchiare in un esempio concreto, in qualcuno che incarnasse in modo pieno il
carisma dell’Ordine. Questo fatto, che creò negli Agostiniani un certo
complesso di inferiorità rispetto agli altri Ordini, che tra l’altro erano
arrivati anche prima, fu superato in due modi: il primo fu la constatazione che
S. Nicola da Tolentino era il santo che incarnava splendidamente il carisma
agostiniano e il secondo fu il fatto che il Papa Giovanni XXII nel 1327 diede
agli Agostiniani la facoltà di fondare un convento a Pavia, vicino al sepolcro
di S. Agostino, perché -scrisse lui stesso- fossero “uniti come membra al capo, come figli al
padre, come discepoli al maestro”. Queste parole del Papa non
toccavano certamente il problema storico, tuttavia confermò in quei frati la
convinzione di essere i continuatori del monachesimo di S. Agostino e di
sentirsi suoi figli. Convinzione suffragata anche dalla leggenda che S.
Agostino dopo il battesimo, nel viaggio di ritorno in Africa sia passato per la
Toscana rimanendovi per circa due anni e vi abbia fondato dei monasteri.
Non c’è dubbio che il fondatore vero
dell’Ordine sia stata la Santa Sede. Tuttavia il mettere insieme congregazioni
così eterogenee e plasmarle in modo da portarle dalla vita eremitica ad un
impegno culturale e pastorale, non può essere opera di generiche indicazioni,
quanto piuttosto di una persona concreta che abbia avuto tempo e tenacia per proporre,
se non imporre, tale progetto. Il fautore di questo disegno, che si sviluppò
nell’arco di oltre 30 anni, fu il cardinale Riccardo Annibaldi. Nel 1237
Gregorio IX lo aveva nominato cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria e da
quella data fu a servizio di nove papi e guidò la politica della Santa Sede
fino alla morte (†1276).
La sua presenza nei fatti che riguardano
l’Ordine appare per la prima volta in due bolle papali del 16 dicembre 1243. In
quella occasione il Papa invitava gli eremiti della Tuscia ad unirsi in un
nuovo Ordine, sul tipo dei Francescani e Domenicani. E perché l’intenzione
papale fosse più chiara, l’Annibaldi fu nominato “correttore e provveditore”,
in altre parole “Cardinale Protettore dell’Ordine”. Questa figura si deve a S.
Francesco d’Assisi il quale, nel 1220, chiese e ottenne dal papa Onorio III la
nomina del cardinale Ugolino da Segni (futuro Gregorio IX) come “pastore” del
movimento francescano, perchè lo assistesse col suo aiuto e la sua guida, e
fosse il suo patrocinatore presso il Papa e la Curia. Era una indicazione
chiara sulle intenzioni della Santa Sede riguardo al nuovo Ordine agostiniano.
Ma se fosse rimasto qualche dubbio, il papa lo fugò pochi mesi dopo con la
bolla Religiosam vitam eligentibus del 26 aprile 1244.
Con questa bolla il papa legittimava e prendeva sotto la sua protezione il
nuovo ordine e gli concedeva il privilegio dell’esenzione dalla giurisdizione
dei vescovi e la sottomissione diretta alla Santa Sede, come appunto aveva già
fatto con Francescani e Domenicani.
E’ quindi comprensibile come il Papa abbia
seguito con particolare interesse il crescere di questo Ordine e gli abbia
inviato dal 1244 al 1256 circa quaranta bolle. Comunque quando si parla del
papa e dei suoi decreti, si deve sempre tener presente che la maggior parte
delle costituzioni papali venivano preparate dal Cardinale Riccardo. A lui
erano state affidati “la cura, i provvedimenti e il governo dell’Ordine senza
restrizioni” e questo voleva dire praticamente un controllo assoluto
sul nuovo Ordine. Nel 1250 trasferì i Minori dal Convento di S. Maria del
Popolo in Roma per insediarvi i Toscani e con la sua elevata posizione e le sue
influenze politiche rese possibile la diffusione dell’Ordine in Italia e
all’estero.
Ritroviano il Cardinal
Annibaldi sei anni dopo. Nel Capitolo, che si svolse nel convento di S. Maria
del Popolo nel marzo del 1256, sotto la guida del suddetto cardinale si unirono
ai Toscani anche Guglielmiti, Giamboniti, Brettinesi ed altre Congregazioni non
meglio specificate: era quella che fu chiamata la Grande Unione per
distinguerla dalla “Piccola Unione” del 1244 tra gli eremiti toscani. Si
intuisce abbastanza chiaramente che queste unioni erano il frutto di una
iniziativa della Santa Sede. Per quanto riguarda poi la Grande Unione, sembra
evidente che nelle intenzioni del Papa si volesse semplicemente allargare
l’unione del 1244, portando a compimento quel disegno di fondare un nuovo
grande Ordine. Infatti non solo rimase il nome di Ordine Eremitano di S. Agostino, ma vi era anche nei progetti di
Alessandro IV che fra Filippo da Parrana, il generale dei Toscani, fosse il
generale del nuovo Ordine. Difatti un codice, scritto attorno al 1322, dice: “papa Alessandro
voleva che fosse a capo del nuovo Ordine fra Filippo, così come lo era in
precedenza dei Toscani. Tuttavia questi fra le lacrime ottenne di essere
dispensato da questo incarico. Allora il papa istituì priore generale fra
Lanfranco da Milano, uomo prudente”.
Comunque la Grande Unione fu un fatto
straordinario perché fece passare il nuovo Ordine da una presenza locale ad un
impegno di respiro europeo, potendo così competere in pieno con i Francescani e
i Domenicani. Tuttavia non possiamo pensare che questo sia accaduto per caso o
per incanto. Certamente la Santa Sede, e quindi il Cardinal Annibaldi, ne aveva
pian piano preparato il terreno: se confrontiamo tra loro le bolle papali
inviate a Toscani, Giamboniti e Brettinesi, a partire dal 1244, ci accorgiamo
di un lento ma deciso processo di avvicinamento e omogeneizzazione delle tre
Congregazioni. Infatti le bolle hanno sempre lo stesso contenuto e quasi sempre
anche lo stesso titolo.
Il Cardinal Annibaldi dalla Grande Unione
in poi fu sempre dentro ad ogni avvenimento della storia agostiniana con un
potere praticamente assoluto, anche sopra il Superiore Generale. Anzi, secondo alcuni,
il beato Clemente da Osimo non accettò il secondo mandato proprio per dissapori
col Cardinale. Dagli Atti capitolari della Provincia Romana, che si conservano
a partire dal 1274, sappiamo che negli ultimi due anni della sua vita, benché
vecchio e malato, l’Annibaldi presiedette i capitoli generali di Molaria nel
1274 e 1275, e il capitolo provinciale di Corneto nel 1274. Da questi ultimi due
atti della sua direzione sappiamo che intervenne nelle nomine e che fece pieno
uso della sua potestà anche in casi in cui non era apparentemente necessaria e
in cui avrebbero dovuto prevalere i metodi democratici delle Costituzioni.
Se l’Ordine sentì la mano
pesante del Cardinale, tuttavia poteva contare su un “Protettore” estremamente
potente e influente. Inoltre una personalità di dal fatta mise a tacere senza
fatica le forze centrifughe, che certamente ci furono, ma che proprio per
questo non lasciarono tracce evidenti.
Che dire di più? L’Annibaldi era ricco e
potente, come lo erano in genere i cardinali di quel tempo. Così pure è ovvio
che nella progettazione della Grande Unione coesistesse in lui anche l’orgoglio
di dar vita a un Ordine colto e potente e su cui avere influenza e potere.
Tuttavia tutti gli storici ammettono che amasse veramente la Chiesa e che abbia
speso ogni energia per il suo bene e la sua libertà. Forse era consapevole di non
essere un santo e di non avere un carisma da comunicare. Tuttavia, anche se la
sua fu una paternità inusuale, la sacramentalità della Chiesa rende ragione
anche di questa possibilità. Così a 750 anni da quell’avvenimento, che in
qualche modo ha cambiato il corso della storia, l’Ordine agostiniano ricorda
anche quest’uomo, il quale pensando di costruire qualcosa secondo la sua
misura, si è ritrovato a fare i conti con Colui che lascia l’uomo proporre, ma
si riserva il finale di ogni avventura.
P. Mario Mattei
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BOX:
LA TOMBA DEL
CARDINAL ANNIBALDI
Il
Padre F. Roth scrive che il Cardinale Annibaldi probabilmente morì a Viterbo
durante i laboriosi conclavi che elessero in due soli mesi Innocenzo V e
Adriano V. Aggiunge poi che fu sepolto a S. Giovanni in Laterano, dove vi è
ancora la sua pietra sepolcrale, con tanto di effigie, sul muro della navata
sinistra della basilica. In verità la sepoltura del Cardinal Riccardo, e in
particolare la pietra tombale, è un simpatico rompicapo. Probabilmente
l’Annibaldi morì davvero a Viterbo, ma che sia stato sepolto in San Giovanni in
Laterano è certamente, come vedremo, un falso seicentesco. Infatti nella
Basilica vi era sì un monumento funebre di un certo Riccardo Annibaldi, ma
questi era un notaio apostolico e non un cardinale, ed era un omonimo nipote
del cardinale che morì nel 1289, tredici anni dopo
lo zio. Quando la Basilica di S. Giovanni, probabilmente nel 1651, venne
restaurata, si pensò di togliere o ridurre i monumenti funebri che
appesantivano e ingombravano le navate. Venne quindi rimosso anche il monumento
di Riccardo Annibaldi. Era un monumento piuttosto grande e anche se l’autore
era Arnolfo di Cambio, era certamente piuttosto ingombrante. Oggi lo si può
ammirare in tutta la sua bellezza nel chiostro della Basilica. Ma a questo
punto intervenne la famiglia Annibaldi, la quale
non voleva perdere un monumento che recava lustro al casato e gli fu permesso
di incastonare nel muro una nuova iscrizione e una copia dell’immagine
di Riccardo disteso nel feretro: oggetti posti in alto e realizzati in una
forma più contenuta per rendere più ampio il passaggio. La nuova lapide, molto
più piccola e di poche righe, dice: “Memoria
Riccardi Hannibaldensis de Molaria, S. R. E. archidiaconi cardinalis Sancti
Angeli, qui a Gregorio Papa Nono creatus est anno 1240, obiit Lugduni in
consilio generali anno Domini 1274” (=Memoria funebre di Riccardi degli
Annibaldi della Molara, il quale fu creato Cardinale di Santa Romana Chiesa,
col titolo di Sant’Angelo, da Papa Gregorio IX nell’anno 1240. Morì a Lione nel
1274 durante il Concilio che si svolse in quella città”). La famiglia degli
Annibaldi probabilmente si accorse che la vecchia tomba che era stata tolta non
riguardava il Riccardo Cardinale di Santa Romana Chiesa. D’altra parte la
lapide era chiara: parlava di un notaio pontificio morto nel 1289 e l’immagine
funeraria non aveva simboli né vescovili né cardinalizi. Certamente però dava
più fama al casato il noto Cardinale che lo sconosciuto notaio. Così venne
collocata una lapide che tradiva completamente il contenuto della precedente.
Inoltre non fu fatta un’adeguata indagine storica sul cardinal Annibaldi e
quindi nella nuova lapide non c’è quasi nulla di storicamente esatto.
L'Annibaldi fu creato cardinale nel 1237 e non nel 1240. Non morì a Lione nel
1274 durante il Concilio, ma nel 1276, quando il Concilio era già terminato da
un pezzo. Anzi, qualche storico mette in dubbio che abbia partecipato al
Concilio di Lione perché ormai vecchio e malato. Infatti sia nel 1274 che nel
1275 chiese, per tali ragioni, che il capitolo generale dell’Ordine agostiniano
fosse celebrato nel suo castello di Molara. Quello del 1275 fu l’ultimo
capitolo che egli presiedette e come dono di commiato fondò ai piedi della sua
residenza un convento che dedicò a S. Agostino. Nel settembre 1276, quando il
capitolo generale fu tenuto a Todi, il suo nome non è menzionato. A quel tempo
o era impegnato a Viterbo nel conclave per l’elezione di Adriano V o forse era
già morto. Dove venne sepolto? Forse nel suo castello di Molara, e in questo
caso il luogo poteva essere la nuova chiesa degli Agostiniani. Oppure venne
sepolto a Viterbo. Nella cripta del Duomo trovarono sepoltura diversi Papi e
nulla osta che anche l’Annibaldi vi sia stato sepolto. La cripta col tempo
venne infossata e i restauri che ora si stanno facendo nel Duomo hanno lo scopo
di riportarla alla luce. Se l’Annibaldi fu sepolto a Viterbo, lo scopriremo
presto. Se fu sepolto nel castello di Molara, ci possiamo mettere l’animo in
pace, perché è andato tutto distrutto.